🤒 Sullo stato di salute della critica musicale
Una serie di tracce e link che offrono un quadro sullo stato di salute della critica musicale, ma anche il disco del mese (che è anche un esordio) e tanti altri dischi notevoli
Di recente un articolo del New Yorker dal titolo Come la critica musicale ha perso il suo smalto ha riportato sotto i riflettori un tema che negli ultimi anni non è mai uscito dai radar: lo stato di salute della critica culturale. L’articolo è dietro al paywall ma – se non sei abbastanza veloce con il ctrl+a & ctrl+c – puoi leggere questa “reaction” de Il Post dalla quale si deduce facilmente il contenuto.
Nel suo long form Kelefa Sanneh spiega come la critica musicale sia passata dall’essere qualcosa di verace (un tempo stroncare un disco poteva anche essere un fazioso espediente per farsi pubblicità) a un’attività molto più democristiana.
Secondo l’autore i motivi di questo atteggiamento sarebbero molteplici: i voti alti scatenano lo sharing sui social; le fanbase intimidiscono i critici attraverso potenziali shitstorm sempre in punta di polpastrelli; di musica ormai si parla anche su siti generalisti e le persone che ne scrivono non sono critici ma, ancora peggio, fan.
Se nella politica le dichiarazioni divisive polarizzano la discussione e funzionano benissimo per aumentare la reach, oggi nel dibattito culturale ottiene più visibilità chi lusinga l’artista (in questo senso il titolo del già citato articolo de Il Post, è geniale: È tutto bello o bellissimo).

La quota “critica” su Indie Riviera
Vent’anni fa, mentre frequentavo l’università a Ravenna, qualche mio pezzo è stato pubblicato sulla rivista musicale Losing Today. In un impeto di entusiasmo accarezzai l’idea che scrivere di musica potesse essere un modo per guadagnarsi da vivere, ma quasi subito maturai l’idea che non facesse per me e – plot twist – non era una questione economica.
All’inizio lo facevo gratuitamente e non sembrava male, perché arrivavano dischi nella cassetta delle lettere ogni settimana: non era forse quello che avevo sempre sognato? Esattamente sì, ma bisogna stare attenti a quello che si desidera perché… bla bla bla
Con il passare del tempo i miei ascolti non erano più deliberati, per poter scrivere dei dischi che mi arrivavano per posta dovevo dare priorità a questi, studiare la press release, ascoltare i riferimenti e – cosa più importante – dovevo scrivere pensando ai lettori di Losing Today, che compravano la rivista in edicola. Tutte cose normali per la vocazione di un critico, ma evidentemente io non lo ero.
Se un disco non mi piaceva (e capitava), non solo dovevo ascoltarlo comunque – e tanto – ma dovevo scriverne e argomentare la mia bocciatura.
Vincenzo Latronico l’ha scritto con la metà della metà della metà delle mie parole su Il Tascabile:
La critica, come ogni attività umana, tende a fare gli interessi di chi la paga.
Ad oggi la “quota critica” di Indie Riviera è scegliere di cosa scrivere e di cosa non scrivere e va benissimo così, perché quello che faccio è divulgazione a tempo perso e le critiche e i critici musicali sono persone che seguo, leggo e ammiro. D’altra parte oggi sulle piattaforme tipo RYM o Metacritic avere poche valutazioni è diventato un metro di giudizio a sua volta che, per quanto aridamente, dice comunque qualcosa del disco.
Quella che il bruco chiama mort... bla bla bla
Ad inizio ottobre Spotify ha annunciato una nuova partnership con ChatGPT per offrire suggerimenti musicali automatici ancora più personalizzati. Ne ha scritto Scott Sterling su Consequence sottolineando come questo sia l’ennesimo passo verso un’esperienza musicale sempre più asettica.
Tuttavia Sterling, in questa prospettiva malaugurata, intravede un’opportunità: per reazione torneremo ad apprezzare il valore delle raccomandazioni di critici, divulgatori, appassionati, blogger e testate musicali indipendenti.
Ne hanno scritto anche Drowned in Sound, che ha definito questi suggerimenti come “privi di racconto” e rei di trattare la “musica come servizio” ed
che ha scelto di partire da questa notizia per parlare della next generation of independent music tastemakers.Il focus secondo Emily è che, nonostante l’accesso praticamente illimitato a tutta la musica, gli ascoltatori finiscono sempre per ascoltare gli stessi brani. È quella che viene definita in gergo Echo Chamber.
Nel suo post Emily linka i profili di tanti e tante taste maker, come li definisce lei stessa, che stanno dando vita ad un contro-movimento divulgativo in opposizione all’algoritmo.
Leggere, discutere e scrivere di musica, decidere cosa ascoltare, stanno diventando atti sovversivi.
Se stavi cercando una frase da citare in un restack, valuta questa 👆
Possiamo fare a meno della critica?
Come avrai capito penso che ci siano persone più titolate di me per rispondere a questa domanda, ma oltre a condividere con te qualche link posso provare a dire la mia - rigorosamente non richiesta - in quanto osservatore di vecchia data.
Non me ne voglia Guccini ma senza “un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate” probabilmente non avremmo l’Avvelenata e senza critica chissà cos’altro ci saremmo persi. Fuori metafora, è il motivo per cui penso che influencer, tastemaker, blogger e divulgatori vari non sostituiranno la critica propriamente detta (figuriamoci se lo farà l’algoritmo poi!). Penso che la critica serva al sistema come “sparring partner” ideale e necessario, così come lo Yin serve allo Yang e Dart Fener è stato funzionale alla genesi di Luke Skywalker (aggiungi altri esempi a caso di antagonismi generativi generazionali).
Di nuovo Vincenzo Latronico lo spiega benissimo così su Sparlarne tra amici:
[…] il pubblico della critica non sono i lettori in quanto acquirenti di libri – e neppure gli autori in quanto produttori di opere migliorabili in base a chissà quale standard oggettivo – ma sono entrambi, in quanto partecipi di una cultura letteraria.
Tu cosa ne pensi? Scrivilo nei commenti, accetto anche i pomodori 🍅
Studio Electrophonique di Studio Electrophonique è il disco del mese
Il disco del mese di Indie Riviera ha la delicatezza dei Belle & Sebastian più intimi, romantici e fragili (ma allo stesso tempo potentissimi), la poesia di un film di Wes Anderson e quel mood da beautiful loser che trasmettono i film di Ken Loach.
Sto parlando di Studio Electrophonique, l’esordio self titled di James Leesley, giovanissimo cantautore di Handsworth, alla periferia di Sheffield. Studio Electrophonique è il progetto solista di James e il nome proviene da un vecchio studio di registrazione analogico della città.
Dopo i due EP con cui ha squarciato il silenzio, questo che stai ascoltando (e se non lo stai facendo, schiaccia subito play!) è il suo album di debutto, uscito per l’etichetta parigina Valley of Eyes Records.
Studio Electrophonique, prodotto da Simon Tong (già con Verve e The Good, The Bad and The Queen), è un disco indie pop caldo, intimo e sognante, zeppo di chitarre acustiche e tastiere Casio. Le 11 tracce parlano di solitudine, bellezza, desiderio e perdita e ricordano il mondo visto attraverso il finestrino rigato di pioggia di un double-decker bus in giro per Londra.
Forse non il migliore disco di ottobre, ma sicuramente l’esordio più promettente.
Five Eggs di Dumbo Gets Mad
Il progetto Dumbo Gets Mad (il naming è un tributo al film della Disney) nasce nel 2010 a Reggio Emilia dalla mente di Luca Bergomi (cantautore, producer e sound designer), che ai tempi era in missione per conto di Dio: diffondere il pop psichedelico nella bassa padana. Ma è nel 2011, quando Luca si trasferisce a Los Angeles, che si comincia a fare sul serio. A gennaio di quell’anno esce il suo sorprendente album di debutto Elephants at the Door, su Indie Riviera ne scrissi così: “il mio primo disco preferito del 2011”.
Nei successivi 14 anni Luca ha calcato i planchi di oltre 100 festival tra Europa, America e Asia. Oggi la sua discografia conta tre dischi usciti per Bad Panda Records, l’autoproduzione Things Are Random and Time Is Speeding Up (2022), la collaborazione con Marracash e Marz per l’album Noi, Loro, Gli Altri e questo Five Eggs licenziato da Carosello Records.
Le trame di Five Eggs rimandano al surf rock dei Beach Boys, alla psichedelia dei Pink Floyd di The Piper at The Gates of Dawn e a volo d’elefante anche ai Beastie Boys (Gossip Playground) e ai Go! Team (Pariah è un pastiche nonsense, talmente catchy che dopo un paio di ascolti potresti cantarlo a memoria, anche da sobrio), con una strizzata d’occhio al britpop (It Really Doesn’t Matter).
Luca Gets Mad c’è riuscito di nuovo!
(Five Eggs non è disponibile su Bandcamp, questa che ho incluso è Plumy Tale, il primo singolo in assoluto dell’artista, nominato da Joe Tangari su Pitchfork come una delle 50 migliori canzoni del 2011.)
Michelangelo Dying di Cate Le Bon
Di recente uno dei miei figli mi ha sorpreso ad ascoltare questo disco e ha sentenziato: “Purple Rain!” Intendeva l’album, ovviamente, e altrettanto ovviamente non ha indovinato. Ma la sua osservazione – è un musicista e un acuto ascoltatore, anche se con “sole” 19 primavere sulle orecchie – non era così campata per aria, perché Michelangelo Dying ha nelle chitarre quella sensualità notturna di Prince.
Michelangelo Dying, targato Mexican Summer, è il settimo album di Cate Timothy - in arte Le Bon - cantautrice e produttrice gallese, già al lavoro con Eleanor Friedberger, Deerhunter e, più di recente, dietro al mixer per Wilco, St. Vincent, Horsegirl.
Se i primi lavori di Cate Le Bon erano vicini a certo nu-folk, Michelangelo Dying si addentra ancora di più nei sentieri abbozzati in Reward (2019) e Pompeii (2022). Art pop a tinte dark, synth pop psichedelico, arrangiamenti intriganti e ricchi di dettagli.
Love Unrehearsed ricorda Lou Reed, John Cale canta come ospite in Ride, in Is It Worth It? (Happy Birthday) ci risento Nico, in pratica: i classici! Dei campioni e delle campionesse si dice che riescono a far sembrare semplice ciò che non lo è, ecco credo che ci troviamo di fronte a un fulgido esempio di questa categoria.
More Colors of Sound di Major Stars
I Major Stars sono storici esponenti della scena indie rock di Boston.
La band nasce dalla mente di Kate Biggar e Wayne Rogers, che collaborano artisticamente dai primi anni 80, esplorando a vari livelli la scena underground della loro città. Tutto molto DIY fino alla seminale collaborazione con Damon Krukowski e Naomi Yang (ex membri dei Galaxie 500), i quattro assieme formano la band space rock di breve durata dei Magic Hour.
È quando i Magic Hour si sciolgono, nel 1996, che Kate e Wayne fondano i Major Stars e, un paio di anni dopo, si unisce a loro Tom Leonard, terzo chitarrista che contribuirà a definirne il sound del gruppo: un muro di chitarre distorte.
Per quanto riguarda il resto della band, bè, è un casino. Il problema dei Major Stars è questo: difficoltà a consolidare una line up attorno all’inossidabile duo Kate e Wayne, Wayne e Kate. Questo, ad esempio, è solo il secondo album con la cantante Noell Dorsey.
More Colors of Sound arriva a sei anni dal precedente album in studio e a 27 dal loro esordio, ancora una volta per Drag City. È un campionario di acid rock psichedelico, hard e indie rock: otto canzoni incendiarie per 45 minuti di musica a ritmi incalzanti, contraddistinti dagli assalti a tripla chitarra di Biggar, Rogers e Leonard, dalle frenetiche evoluzioni chitarristiche, da assoli febbrili e da jam prolungate.
In pieno stile Yo La Tengo, Damon & Naomi, Sonic Youth e Sleater-Kinney.
Silver Bleeds the Black Sun... degli AFI
Gli AFI — acronimo di A Fire Inside — sarebbero una band punk californiana attiva da oltre tre decenni, se non fosse che, il cambiamento installato nel loro DNA, gli impedisce di restare ingabbiati in una singola categoria.
La band nasce nel 1991, quando i membri fondatori frequentavano ancora il liceo, ma la loro carriera esplode definitivamente attorno al 2000. Il cambiamento nel DNA dicevamo: gli AFI hanno sempre dichiarato di voler evolversi ad ogni uscita, e Silver Bleeds the Black Sun… — il dodicesimo in studio — è l’ennesima riprova di questa indole.
Oscuro e maestoso, Silver Bleeds the Black Sun… non assomiglia a nessuna versione della band che tu abbia mai ascoltato prima. Un deciso cambio di rotta rispetto al dark punk, a tratti metal, degli esordi. I riferimenti si spostano verso new wave e post-punk a tinte goth che ricordano — o forse sarebbe meglio dire tributano — Siouxsie and the Banshees, Bauhaus, Echo and the Bunnymen, Killing Joke e The Cure.
E in effetti sì, a tratti sembrano davvero una tribute band di certi gruppi di culto anni 80, ma la verità è che Silver Bleeds the Black Sun… gasa parecchio comunque.
The Besnard Lakes Are the Ghost Nation dei The Besnard Lakes
I The Besnard Lakes sono una band canadese di Montreal attiva da metà degli anni 2000, guidati dai coniugi Jace Lasek (voce, chitarra) e Olga Goreas (voce, basso). Il loro sound intreccia space rock, pop psichedelico e una sofisticatezza sonora che li ha sempre fatti sembrare degli intellettualoidi.
All’attivo hanno sette album, varie colonne sonore per il cinema e hanno uno studio di proprietà (il Breakglass Studios di Montreal) dove Jace è da anni un produttore molto richiesto (Wolf Parade, Dears, Stars e buona parte della scena indie canadese).
The Besnard Lakes Are the Ghost Nation è il secondo album uscito con l’etichetta Full Time Hobby ed è un disco più luminoso rispetto al precedente. I brani attraversano generi e umori diversi: dallo shoegaze di Chemin de la Baie al dream pop che guarda a Grizzly Bear e Beach House, fino al post rock più paesaggistico. Le voci di Jace e Olga si intrecciano fino a diventare androgine, rendendo difficile capire chi dei due stia cantando.
Sotto la superficie il disco parla anche di politica: la “Ghost Nation” del titolo si riferisce a chi vorrebbe il Canada come 51° stato degli Stati Uniti.
Off The Record di Emanuele Rosso

Negli anni 90 Kinder ci fracassava i bulbi oculari con un celebre e allettante spot: comprando un ovetto Kinder avremmo acquistato 3 cose e non una sola! Il cioccolato, la sorpresa e il giochino.
“Fra, e questo cosa c’entra?”
C’entra, c’entra perché con Off The Record di Emanuele Rosso funziona un po’ allo stesso modo: c’è la testimonianza diretta di un’epoca aulica per l’indie italico (che è il tema che abbiamo maggiormente esplorato in questa intervista con Emanuele), c’è la graphic novel di formazione e a fine volume ci sono le testimonianze di tanti amici, che meriterebbero da sole un secondo volume e invece è tutto compreso!
Off The Record, uscito a fine estate, è il volume che raccoglie tutte le puntate del webcomics che Emanuele ha pubblicato periodicamente e gratuitamente via newsletter. Il racconto è ispirato agli anni 00, un periodo in cui il fumettista ha girato l’italia con il furgoncino al seguito di alcune band indie, vivendo in prima persona l’esplosione della scena alternative italiana, “before it was mainstream”.
La verità è che Off The Records è sì una preziosissima testimonianza di una fermento cultural musicale, ma è soprattutto un racconto generazionale, introspettivo, profondo, che parla a noi che abbiamo vissuto quegli anni e che ora - in un modo o nell’altro - viviamo un presente incerto, dubbi esistenziali e quegli interrogativi che affrontano i protagonisti del fumetto.
La trasposizione avviene anche attraverso momenti molto divertenti, con i personaggi che mettono in pausa la storia, sfondano la 4° parete e parlano direttamente al lettore, in barba all’autore, a volte dileggiandolo. Fitto di riferimenti che ogni volta che li cogli ti senti come quando trovavi Wally tra la folla.
Emanuele ha scritto e disgnato il fumetto generazionale di una stagione che è stata la “Woodstock in peer-to-peer” della nostra epoca.
Per approfondire
🛫 Neil Young rimuoverà le sue canzoni da Amazon Music, lo ha annunciato accusando Amazon e Jeff Bezos di sostenere l’amministrazione Trump e di “svendere l’America”, Young lo aveva già fatto nel 2022 con Spotify per poi rientrare due anni dopo. Contestualmente Neil invita i fan a sostenere i negozi locali.
🤟 Secondo Live Nation il numero di concerti hard rock è aumentato del 14% nell’ultimo anno e il 13% dei concerti nelle arene è costituito da concerti metal. Il colosso dei biglietti attribuisce questi numeri a una generazione di giovani band emergenti che si sta affermando come mainstream: Sleep Token, Bad Omens, Ghost, Turnstile e Pierce The Veil in testa.
📸 La fama è diventata un fenomeno sempre più centrale nella società, ne parla Alessandro Lolli sul suo nuovo libro Storia della fama, qui intervistato da Il Tascabile.
☠️ Mtv chiude i suoi canali musicali in giro per l’Europa, il prossimo 31 dicembre si spegneranno nel Regno Unito Mtv Music, Mtv 80s, Mtv 90s, Club MTV e Mtv Live, ovvero tutti i canali tematici dedicati ai video in rotazione. Ne celebra il funerale Wired.
My job here is done
Alla prossima!
(Hai notato che non scrivo mai “A presto”?)





Grazie del re-endorsement! <3