✨ "Se fate cose belle e interessanti, prima o poi arrivano" intervista a Rossano Lo Mele
Indie Riviera ha l'onore di ospitare un'intervista a Rossano Lo Mele, direttore editoriale di Rumore e autore del saggio "Scrivere di musica. una guida pratica e intima" pubblicato da Minimum Fax
Indie Riviera ha il piacere e l'onore di ospitare un'intervista a Rossano Lo Mele. Rossano, casomai qualcuno avesse bisogno di una presentazione, è direttore editoriale di Rumore, storica rivista di musica e cultura underground, batterista e fondatore dei Perturbazione, ha insegnato Scrittura giornalistica alla Scuola Holden di Torino, insegna oggi Linguaggi della musica contemporanea all’Università Cattolica di Milano, all’Uninsubria e alla S.A.E. Nel 2020 ha pubblicato per Minimum Fax il saggio Scrivere di musica. una guida pratica e intima.
Rossano, grazie per essere qui e per condividere con i lettori di Indie Riviera il tuo punto di vista sulla scrittura musicale. Per prima cosa: gli architetti dovrebbero progettare case e palazzi, i ballerini e le ballerine danzare eppure c'è chi "danza di architettura" (c'è un riferimento ad una affermazione di Frank Zappa - in realtà l'attribuzione è incerta - secondo cui scrivere di musica sarebbe come "danzare di architettura" alludendo al fatto che si tratterebbe di un'attività poco ortodossa). Cosa spinge le persone a danzare di architettura e scrivere di musica?
Dunque, è una domanda che ha una risposta multifattoriale e dipende dal fatto che è cambiata radicalmente la maniera in cui la musica è dentro le nostre vite. La ragione per cui da ragazzi io, te e tantissimi altri ci siamo avvicinati alla musica è perché probabilmente non eravamo molto soddisfatti dalla realtà che avevamo attorno e cercavamo qualcosa che suonasse più, passami il termine, autentico e vicino a noi.
Ognuno lo trova in qualcosa, c'è chi lo trova nella pittura, nella drammaturgia, noi l'abbiamo trovato nella musica. La musica è stata ed è il nostro clan, il nostro gergo, il nostro linguaggio esclusivo, l'alfabeto che avevamo per riconoscerci e per distanziarci dal mondo in cui non ci riconoscevamo.
La musica è sempre stata uno dei principali vettori di comunicazione artistici, dal dopoguerra ad oggi, ha appassionato ed è diventata un linguaggio comune per tante generazioni, però, in termini di consumo, è passata dall'essere qualcosa da ricercare, desiderare, acquistare e custodire con passione a qualcosa che è costantemente presente nelle nostre giornate, spesso come sottofondo. A me questa cosa, vista la sua onnipresenza, come fenomeno un po’ disturba.
E quindi, tornando alla domanda, essendo molto più presente nelle nostre vite, se ne parla anche molto di più. Se ne dibatte molto, se ne discute ed è un grande argomento di discussione.
Infine credo anche che la musica sia esplosa anche a livello di immaginario collettivo nella nostra società: per esempio le riviste rivolte a un pubblico femminile rispetto al passato escono con una grande quantità di copertine e servizi su musiciste e musicisti. Il che è positivo perché così facendo le musiciste hanno molta più audience e quindi vuol dire che sono parte di un immaginario più grande.
Quindi è proprio cambiato tutto, e secondo me si parla e si scrive molto di più di musica soprattutto perché è molto più presente nelle nostre vite. E perché, come ci insegna lo splendido saggio di Arnaldo Greco dal titolo “E anche scrittore”: tutti oggi vogliono scrivere di tutto. Anche di musica.
Molto chiaro e condivisibile. Parliamo del medium, una volta erano le fanzine, poi le riviste, poi i blog e oggi ci sono i creators sui social, cosa ne pensi di questi nuovi medium e delle persone che fanno divulgazione musicale, ad esempio su Tik Tok o Instagram attraverso contenuti multimediali?
I contenuti sono gli stessi e cambiano solo i medium o c'è dell'altro, ad esempio i tempi frenetici con cui un album o un singolo viene "consumato"? Penso ad esempio che i tempi delle fanzine erano lunghi, l'articolo veniva scritto, stampato, pubblicato, letto e il numero successivo sarebbe uscito mesi dopo, c'era molto tempo per assimilare. Oggi sembra tutto più frenetico. Che ne pensi?
C'è anche un impatto sui contenuti, per forza, ma non perché io voglia dire che era meglio come era prima. Fra l'altro il fatto che un contenuto venga pubblicato su carta o nei giornali non è per forza sinonimo di qualità, assolutamente no. Cioè, sgombriamo subito il campo: quelli che scrivono bene sono sempre stati pochi, così come sono pochi quelli che fotografano bene, che girano bene... e tutto il resto. Citando il padre della massmediologia, Marshall McLuhan, vale la pena sottolineare come non solo “il mezzo è il messaggio”, ma anche che “the medium is the massage”, come anticipato scherzosamente dallo stesso autore. Il web ci coccola, ci lusinga, ci massaggia appunto.
Leggevo di recente una puntata molto interessante della newsletter di
, autore di questo progetto molto avveniristico che si chiama Scrolling Infinito. Andrea sostiene proprio questo: una volta avevamo l'angoscia che il contenuto fosse fatto bene, adesso quello che funziona è il contenuto istantaneo e tempestivo, anche se fatto male, ma purché dia continuità alla narrazione. Credo, purtroppo, che il mito del “content is king” di vent'anni fa sia completamente svanito. Con questo non voglio dire che i giornali o i libri siano la verità teologica e che online si trovino soltanto delle scemenze, c'è un sacco di gente in gamba che fa delle cose divertenti, con un linguaggio diverso e spesso impressionistico.Poi c'è anche un tema legato alle abitudini dei lettori e a come fruiamo i contenuti, siamo abituati a leggere cinque righe su una pagina Instagram e pensiamo che sia informazione, per come la vedo io quella è un’altra cosa. Mentre se leggi un testo di quelli davvero bravi che scrivono di musica, Alex Ross per esempio, o Simon Reynolds, allora lì imparerai delle cose. Scrollando all’infinito non si impara quasi niente, la mente bulimica digitale non archivia.
Cosa ne pensi dell'intelligenza artificiale in ambito musicale e artistico? La lascio così, generica, scegli tu il punto di vista (il diritto d'autore, l'intelligenza generativa, le playlist personalizzate...). Hai un'idea piuttosto che un'altra che vuoi condividere con noi?
Si tratta sicuramente di un tema dove si rischiano di dire un sacco di castronerie e dove vale tutto e il contrario di tutto. Da un lato se la guardo dal punto di vista del musicista, io credo di aver vissuto tutte le fasi della musica dal tutto analogico al tutto digitale, tanto che a un certo punto mi sembrava irreale il grado di innovazione tecnologica a cui si arrivava grazie a software come Pro Tools. Quindi quel passaggio secondo me ha già rappresentato uno step pazzesco e lo stesso si può dire con altri temi affini, ad esempio le banche dati di suoni che trovi anche sull'iPad, dove tu hai 150 suoni di rullante. Pronte da usare.
Che cosa posso dirti di fronte a questa nuova rivoluzione legata all'AI? Una parte di me è terrorizzata, terrorizzata da queste playlist algoritmiche con la musica fatta da nessuno che mi fa venire in mente il sottofondo che si ascolta alla Virgin Active fra un infradito e uno shampoo, sempre tutta uguale, non sai mai di chi sia, deve essere impacchettata con un mood un po' malinconico, ma anche un po' allegro perché non ti deve deprimere. Il mio timore è che si vada a finire in quel mondo lì e per risposta, da obsoleto, ascolto ancora i dischi in modo analogico, allo stereo.
Per quanto riguarda l'intelligenza artificiale generativa secondo me le cose più belle saranno sempre figlie di gente che vuol far sentire la propria voce, non la voce di un altro e non lo dico da boomer, perché tanto cosa dobbiamo fermare? Le evoluzioni, anche se involute, non si fermano. Ci sarà sicuramente una fetta di ascoltatori a cui andrà bene la playlist autogenerata dalla piattaforma perché serve per fare Pilates, ma ci sarà sempre anche una piccola frangia di rompip**** come me e te a cui interessa un tipo di esperienza diversa.
Ho sul mio comodino Un Lavoro da Donne. Saggi sulla Musica (ammetto che devo ancora leggerlo anche se ho già chiesto a Claudia Durastanti, che ne ha curato la prefazione, di venire a parlarne qui con noi), si tratta di alcuni saggi sulla musica scritti da donne e il titolo fa evidentemente riferimento al fatto che ci sono poche firme femminili in questo ambito.
Confermi, neghi o comunque più in generale cosa ne pensi?
Un tema che io sento tantissimo e non lo dico per mettermi in testa l'aureola. Nei miei anni di direzione a Rumore credo di aver accolto molte più donne rispetto al passato. È un tema a cui presto molta attenzione anche perché, essendoci molte più donne nell'industria discografica e anche più musiciste che in passato, credo sia necessario che non siano solo uomini della mia età a dover e poter dare il proprio punto di vista, specie su una musicista. Però ti confermo che la musica è sempre stato un ambiente un po' odiosamente maschile e questo mi spiace molto.
Inizialmente mi ero fatto l'idea che il nostro mondo, a cui sono arrivato da ragazzo dopo averlo voluto fortemente e idealizzato, dovesse per forza essere un mondo creativo, abitato da gente “migliore”. Invece avvicinandomi al mondo della musica ho trovato un ambiente molto più conservatore e molto più maschilista di quanto non immaginassi. Non mi piace l'idea della parità per la parità, mi sembra una stupidaggine. Mi interessa banalmente chi è bravo e chi no, chi fa cose interessanti e chi no, a prescindere dal sesso, e ci sono delle scrittrici che in questi anni hanno fatto cose pazzesche. Amanda Petrusich, per dirne una, è fantastica, ma anche la stessa Claudia, che si occupa di musica, è bravissima, scrive in punta di penna; anche nella redazione di Rumore abbiamo delle ragazze per me formidabili, come Letizia Bognanni, Daniela Liucci, Maria Stocchi, Claudia Bonadonna, Stefania Ianne, Barbara Santi. Sono in grado di contribuire con punti di vista inediti.
Però sicuramente questo è un tema e io auspico che siano sempre di più, perché lo sguardo di un uomo o di una donna verso un'opera artistica sono inevitabilmente diversi e avere una pluralità di visioni è arricchente. Non concordo con Cesare Cremonini quando cantava che gli uomini e le donne sono uguali, sicuramente non nello sguardo e nell'analisi finale.
Una volta si parlava di musica femminile perché le donne erano poche e facevano scalpore, ora sono molte di più anche dietro alle scrivanie nelle case discografiche o dietro ai mixer e quindi è dirimente avere più firme femminili, ma per fortuna ce ne sono sempre di più e il nostro mondo sta lentamente cambiando.
Su Rumore sei stato uno dei pochi ad aver dato spazio ad autori stranieri, che differenze ci sono tra come viene raccontata la musica all'estero e in Italia? E al di là dei soliti nomi, penso a Reynolds o a Bangs che sono delle icone, ci sono degli autori che consigli di leggere?
Sì, abbiamo fatto tutta una serie di interviste ai grandi scrittori musicali stranieri. La prima cosa che mi verrebbe da dire è che i soliti noti sono noti e li citano tutti, ma in realtà purtroppo non li legge quasi nessuno. Nel senso che Simon Reynolds è famosissimo, ma poi l'hanno letto in pochissimi. Venendo alla tua domanda invece sicuramente i libri tradotti in Italia di Alex Ross sono fondamentali (Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo, Senti questo e Wagnerismi. Arte e politica all'ombra della musica). Ross è uno dei più grandi critici dell’ultimo secolo in qualsiasi ambito. E Reynolds andrebbe letto sempre, tutto! Un autore purtroppo morto che ha scritto delle cose pazzesche sulla musica, anche lui citato spesso e poco letto è Mark Fisher, di cui Minimum Fax sta traducendo praticamente tutta l'opera.
Anche il libro di Ashley Kahn (Il rumore dell'anima. Scrivere di jazz, rock, blues) pubblicato da Il Saggiatore per chi vuol cominciare a scrivere di musica è fondamentale, un testo ricchissimo. Poi cito anche in ordine sparso i libri di Greil Marcus, Neil Strauss, Michael Azerrad, Nick Kent, Paul Morley, Will Hermes, Chuck Klosterman che rimane un gigante.
Per quanto riguarda le differenze di stile invece, leggendo autori inglesi da tanti anni, ho maturato l'idea che gli autori di lingua inglese siano più immediati di noi, noi italiani siamo più mentali, a tratti cervellotici, sicuramente emotivi.
Che consiglio daresti a chi decide oggi di cominciare a scrivere di musica?
Di recente ho letto due interviste uscite sul Venerdì di Repubblica. Una fatta da Paolo Sorrentino a Guè Pequeno e una firmata da Michele Serra a Marracash: di base entrambi insistevano tanto sull’importanza del "fare una cosa bella", lo hanno ribadito in continuazione in queste interviste, sottolineando come non contasse nient'altro, non i soldi, non la fama, non gli orologi. Anche quando hai il Rolex al polso non sei più felice di prima, ma l'importante è, stando alle loro dichiarazioni, fare una cosa bella. Il mio consiglio è lo stesso, lo mutuo: fate una cosa bella. Su YouTube o su Instagram o sul blog o sui social media... se fate delle cose interessanti, se le sentite forti, prima o poi arrivano a qualcuno. Che poi il consiglio arrivi da due rapper presunti cattivi maestri fa riflettere, per non dire sorridere.
Nel nostro mondo non hanno mai girato tanti soldi e quando acquisisci questa consapevolezza all'inizio può dare un po' di malumore, ma se tu sei proprio scimmiato dalla musica, nel senso che non ne puoi fare a meno e hai bisogno di comunicare, di scrivere, io penso che tu debba trovare il tuo canale, crearlo e perseverare in quello che fai.
Tanti anni fa in Cattolica, avevo uno studente che era appassionatissimo, voleva sapere tutto, ascoltava di tutto. Mi faceva venire il mal di testa per quanto seguiva la musica, è probabilmente la persona più onnivora che abbia mai conosciuto. Dopo l'università è andato a vivere a Londra per perfezionare l'inglese e oggi Elia è uno dei due editor musicali di Spotify Italia, è riuscito a convertire quella passione in un lavoro.
L'altro caso che mi viene in mente è quello di chi segue i social e il sito di Rumore. Un ragazzo ormai adulto che conobbi in un corso nella profonda provincia, quando aveva 25 anni e non sapeva ancora che strada prendere. Però aveva talmente tanta voglia di fare, tantissima passione, che riuscì anche lui a trasformare la sua passione per la musica facendola rientrare sempre nei lavori che fa oggi per vivere. Per cui se sei veramente bravo, e quelli bravi ci sono, e hai veramente tanta voglia secondo me devi provarci, tentare, sbagliare. La penso e l’ho sempre pensata così, anche perché non ho mai avuto un piano B sino a oggi che funga da controprova.
È andata abbastanza bene direi, due cosine le hai fatte ;)
Ho un'ultima domanda bonus, che in realtà è una curiosità, perché mi ha colpito molto la parte del libro dove racconti di quando tu e tuo papà spostavate le risme delle riviste per una questione di umidità. Mi ha colpito molto, su vari livelli, e mi è venuta questa curiosità sul momento in cui hai comunicato ai tuoi genitori il lavoro che avresti voluto fare, come hanno reagito?
In realtà alla fine non gliel'ho mai comunicato ufficialmente, perché faccio ancora grosso modo la stessa vita di quando avevo 19 anni. Cioè a 19 anni suonavo, studiavo, scrivevo, leggevo la letteratura, i giornali... e queste cose le ho sempre portate avanti. I miei genitori vedevano che quelle cose mi assorbivano, mi piacevano e mi riuscivano abbastanza. Poi ad un certo punto sono arrivati i primi compensi per queste attività e ho iniziato a scrivere con più continuità, alla fine non ho dovuto nemmeno dire loro niente di particolare, perché è avvenuto sino a oggi tutto molto gradualmente, in modo apparentemente naturale.
Per quanto riguarda il supporto, è arrivato soprattutto dalla mia mamma, che oggi non c'è più: mi ha trasmesso l'idea di provare a fare quello che mi piaceva. Forse perché lei non ha potuto scegliere cosa fare pienamente, in quanto emigrata e rimasta orfana da piccola: ha dovuto gestire la sua famiglia di provenienza, mantenere psicologicamente e non i suoi fratelli, faticare, ricevere più unghiate che carezze dalla vita. Forse mio padre ha faticato un po' di più a capire questo mestiere che un mestiere non è, anche se ora mi dà una mano e siamo io e lui a fare tutto assieme; ora si diverte, gli piace, ha imparato tantissime cose sul mondo dell'editoria, dell’amministrazione pubblica e non, dei debitori, della contabilità, della distribuzione, della stampa, apprendendo un mestiere nuovo, ma all’età della pensione.
Rossano, grazie per il tuo tempo, per le tue idee e il tuo punto di vista originale su tanti argomenti che riguardano la musica. Io ti saluto ricordando a tutti i lettori che qualche tempo fa è uscito il tuo libro Scrivere di musica. una guida pratica e intima pubblicato da Minimum Fax, inutile dire che l'ho trovato bellissimo, per me appassionante come un thriller, mi hai tenuto incollato proprio.
Grazie, l'unico rammarico che ho è che il libro è uscito praticamente in contemporanea con la chiusura dell'Italia per via della pandemia, marzo 2020. Per questo non sono riuscito a promuoverlo e raccontarlo come volevo, in presenza, nelle principali città o in periferia. Questo mi ha lasciato tantissima amarezza, che ancora non ho smaltito. La cosa buona è che, almeno secondo me, il tema in sé non scade e i contenuti rimangono attuali. Visto che ne stiamo ancora parlando.

Se hai vissuto l’epoca delle fanzine che si trasformavano in riviste o l’epoca dei blog che diventavano testate online, se ti scambiavi le cassette con gli amici, sei hai una rivista musicale preferita e alcune delle firme che ci scrivono sono i tuoi eroi… insomma, quello che sto cercando di dire è: se sei un boomer-musicale quanto me, questo libro sarà pura poesia!
Indie Riviera
Grande Francesco! Ammetto di essere un boomer musicale. Ora vado a leggere il libro!