📉 Reddito di base per l'arte: è un fallimento?
In Irlanda gli artisti e le artiste ricevono un reddito di base, è un fallimento per l’arte che non riesce a sostenersi? Ma anche il disco del mese e tanta buona musica uscita a novembre
In Irlanda gli artisti e le artiste percepiranno stabilmente 1.500 € al mese dal proprio governo, sembra fantascienza (poi ti dico quale libro mi ricorda), ma è realtà. Potrebbe invece essere il preludio al fallimento dell’arte che non basta a sostenere se stessa?
Su questo secondo punto c’arrivo alla fine.
Se in Italia abbiamo conosciuto il “Reddito di Cittadinanza” (in realtà il termine era improprio) tra il 2019 e il 2024, è altrettanto vero che politiche basate su sussidi economici esistono da tempo, tanto che in questo momento alcuni “guru” della Silicon Valley parlano addirittura di “Reddito Universale di Esistenza”, ma questa è un’altra storia.
Dal 2022 fino ad agosto 2025 il governo irlandese ha retribuito duemila artisti e artiste nazionali con 1.500 € al mese. Si è trattato di un progetto sperimentale, a tempo determinato, chiamato Basic Income for the Arts (letteralmente Reddito di Base per le Arti), nato inizialmente come un sostegno al settore culturale post pandemia.
Nel 2022 furono selezionati casualmente duemila lavoratori e lavoratrici culturali, tra chi soddisfaceva questi requisiti: residenza in Irlanda, almeno 18 anni di età, attività artistica continuativa nei 5 anni precedenti, intenzione di continuare in questo settore. Il New York Times al tempo riportò che oltre 9.000 persone avevano presentato domanda, 8.200 erano idonee e 2.000 furono estratte a sorte tra queste.

Una ricerca di Alma Economics, società di consulenza britannica, ha analizzato gli effetti di questa iniziativa, calcolando che il progetto è costato al governo irlandese 72 milioni di euro, ma ha anche generato quasi 80 milioni di euro di benefici per l’economia del paese (fra sbigliettamenti e “benessere psicologico”). Per ogni euro di denaro pubblico investito nel progetto BIA, l’Irlanda ne ha ricevuti indietro 1,39: come dire che se lo stato investe nell’arte, ha un ritorno del 139%.
La stessa ricerca ha evidenziato come chi ha ottenuto questo sussidio ha anche aumentato il reddito proveniente da attività artistiche e diminuito le entrate derivanti da altri lavori (in media -280 € al mese a testa). Anche la “dipendenza” economica da altri sussidi è diminuita (si stima -100 € al mese a testa).
“Il ritorno economico di questo investimento verso i lavoratori e le lavoratrici delle arti creative irlandesi sta avendo un impatto positivo immediato sul settore e sull’economia in generale”, ha dichiarato ad agosto Patrick O’Donovan, ministro della Cultura, delle Comunicazioni e dello Sport irlandese.
Un sondaggio di Arts and Health conferma che gli irlandesi la pensano allo stesso modo. Oltre 17.000 persone hanno partecipato al sondaggio e il 97% di queste sostiene che il programma Basic Income for the Arts dovrebbe diventare permanente. Tuttavia il 47% ha affermato che i beneficiari dovrebbero essere selezionati in base alle necessità economiche, mentre il 37,5% si è espresso a favore di una eventuale selezione meritocratica. Ad ogni modo l’86% dei partecipanti ha bocciato la selezione casuale.
O’Donovan a fine estate ha prorogato il BIA fino a febbraio 2026 e a ottobre ha annunciato che la legge di bilancio 2026 includerà una disposizione per rendere permanente il Reddito di Base per le Arti.
Una lettura superficiale di questa notizia potrebbe far pensare che l’arte non basta a sostenere se stessa e i suoi lavoratori e lavoratrici. Quello che penso io invece è che la società capitalista, installata sull’hardware del consumismo, ci porta a desiderare cose che non ci servono davvero, a vivere al di sopra delle nostre possibilità e a deprezzare ciò di cui avremmo veramente bisogno, ad esempio l’arte.
Leggere questa notizia mi ha fatto pensare ad un libro che ho letto di recente, si tratta di K-PAX di Gene Brewer edito da Accento edizioni di
.K-PAX di Gene Brewer
K-PAX è la storia di Prot, un uomo che sostiene di provenire da un altro pianeta e che, proprio per questo motivo, vive internato nell’ospedale psichiatrico di Manhattan; ma è anche la storia di Mark Powell il dottore che ce l’ha in cura. Il libro è strutturato come se fosse la trascrizione delle 16 sedute di psicanalisi (di cui le ultime con la tecnica dell’ipnosi) intercorse fra Prot e Mark.
Prot è veramente convinto di essere arrivato dal pianeta K-PAX il 16 agosto del 1985 e, seduta dopo seduta, con dovizia di particolari, cercherà di convincere il dottore, con la sicurezza di chi sa di non dover dimostrare nulla. Nel frattempo gli altri pazienti dell’istituto, che non hanno bisogno di prove, migliorano le proprie nevrosi candidandosi a rimpatriare con Prot, decollo per K-PAX: 15 agosto 1990.
Ed è subito “e i matti siete voi”, come canterebbe De Gregori, perché K-PAX è esattamente la canzone Imagine di John Lennon. Su K-PAX non esistono religioni, non esiste il possesso, non ci sono nazioni, non esistono conflitti e non c’è lavoro! Ognuno si fa carico di quello che c’è da fare, perché il fatto stesso che una cosa debba essere fatta, cela implicitamente la sua gratificazione. Le librerie e i luoghi dell’arte sono gratuiti e accessibili a tutti in quanto bene comune.
Già così il libro meriterebbe 5 stelline, ma c’è anche molto, MOLTO di più e il finale è commovente.
Un incredibile mix fra Risvegli (il film con Robin Williams, Robert De Niro), Tutto Chiede Salvezza (di Daniele Mencarelli) e L’uomo che Cadde sulla Terra (di Walter Tevis).
s h i n e di Tobias Jesso Jr. è il disco del mese
Nella mia personale tassonomia discografica esiste la categoria “da far tremare le ginocchia” e Goon , l’esordio di Tobias Jesso Jr. (cantautore autore e produttore canadese), rientra di diritto in questa lista.
Nel 2015 Goon rappresentò la catarsi di un momento molto difficile del suo autore, con due “ciliegine”: una rottura sentimentale in corso e sua madre colpita dalla malattia. Ne uscì un debutto soul devastante, soft-rock romanticissimo, costruito sull’ineguagliabile scrittura di Tobias e sul piano.
La sua sincerità emotiva e la capacità di affrescare le emozioni in una canzone lo resero immediatamente un artista desiderato da tanti interpreti che volevano collaborare. Negli ultimi dieci anni Tobias ha scritto per pop-star del calibro di Adele, Sia, Florence and the Machine, Harry Styles, Miley Cyrus, Dua Lipa, Bon Iver, Justin Bieber, Dijon, Rosalía e tanti altri. Nel 2023 due di queste collaborazioni gli sono valse altrettanti Grammy: uno per l’album dell’anno (Harry’s House di Harry Styles) e l’altro come “Songwriter of the Year, Non-Classical”, premio introdotto proprio quell’anno dalla Recording Academy, a testimonianza dell’importanza del ruolo dell’autore nel mondo pop.
s h i n e, uscito questo mese per la semi-sconosciuta etichetta losangelina R&R Digital, è un disco che riparte da Goon, con qualche timido passo avanti. Il singolo di lancio I Love You (nel video musicale c’è un cameo di Dakota Johnson e Riley Keough) è stato registrato completamente dal vivo, con Jesso seduto al piano che ha acquistato su Craigslist, per 800 dollari.
Dense di malinconica tristezza le otto tracce scorrono in poco meno di 30 minuti, la scelta del minimalismo estremo strizza l’occhio a certi demo tape, penso ad esempio a Piano & A Microphone di Prince, che ritorna anche in Black Magic. L’unico sussulto è la batteria analogica distorta e spacca-muri, che ti fa ribaltare dalla seggiola, in I Love You.
Non c’è forza più grande di chi riesce a cantare le proprie emozioni, ma per farlo a volte serve una rincorsa lunga 10 anni. Bentornato genio!
SHISH di Portugal. The Man
I Portugal. The Man, dall’Alaska ma oggi di base a Portland ed esordienti nel 2006, hanno raggiunto lo zenith tra il 2011 e il 2023, pubblicando sotto Atlantic. Mi sono approcciato a SHISH con qualche pregiudizio, anche perché non sono mai stato un fan di certe hit pop-soul, funky, glam pubblicate in quegli anni (sì, mi riferisco anche a Feel It Still del 2017, che gli è valso quel Grammy in salotto).
Invece SHISH è il disco che li vede tornare dall’altra parte della barricata, il decimo album in studio infatti esce per la proprietaria KNIK Records e arriva con un senso di restituzione verso le proprie origini. È un segnale potente perché i Portugal. The Man sono una delle poche grandi realtà musicali dell’Alaska, anche i testi di alcuni brani contengono dichiarazioni politiche insolite per la band: “niente controllori di frontiera, niente padroni, non ho bisogno di un nuovo ordine mondiale”.
Con SHISH i Portugal. The Man tornano alla creatività e alla grinta di un tempo, realizzando il loro album più pesante e meno accessibile: un mix di indie rock, post-punk, psichedelia ed elettronica.
Denali, il singolo lancio che apre anche il disco, ricorda sì Feel It Still (con le chitarre elettriche), ma già da Pittman Ralliers si sentono le reminiscenze del post-hardcore che la band suonava quando ancora si chiamava Anatomy of a Ghost. Gli accordi iniziali (e non solo) di Knik mi ricordano i Nirvana di Come As You Are, ripenso anche ai Blur di Think Thank (Shish) o ai The Shins (Angoon). Molte canzoni iniziano in modo rilassato e poi esplodono nel caos, ma c’è uno sbilanciamento complessivo a favore delle melodie pop.
Grande ritorno.
Iconoclasts di Anna von Hausswolff
Fra le migliori uscite del mese un posto speciale è per Iconoclasts, il sesto album in studio di Anna von Hausswolff, cantante, autrice, pianista e organista svedese. Nonostante una discreta confidenza con le tastiere è la sua voce, fuori scala, lo strumento tra gli strumenti.
Le tradizioni europee gotiche e classiche sono al centro dei suoi interessi (nel CV ha anche un passaggio in Southern Lord Records), tanto che in passato, per le sue esibizioni e registrazioni, ha precettato organi a canne e chiese sconsacrate.
Iconoclasts, che segna il suo debutto per la svedese Year0001 Records, è sicuramente un disco più accessibile rispetto ai lavori precedenti, questa volta al consueto nu-folk a tinte doom si intrecciano fiati free jazz e slanci prog: la title track supera gli 11 minuti e, come un manifesto, ben spiega come ci siano più canzoni dentro lo stesso brano.
Se il valore dell’avversario restituisce la cifra di una vittoria, spesso le collaborazioni dicono molto di un disco: la cantautrice Ethel Cain duetta in Aging Young Woman e Iggy Pop compare in The Whole Woman.
Iconoclasts comparirà di diritto in parecchie classifiche di fine anno.
Moonflowers dei Constant Smiles
I Constant Smiles sono il progetto a porte girevoli di Ben Jones: dalla fine degli anni 00, di studio in studio, di live in live, di città in città, tanti amici si sono avvicendati davanti agli spartiti che Ben metteva loro davanti.
Inizialmente, la band che oggi è stabilmente di casa a New York, si muoveva tra noise, synth e ambient pop, il tutto avvolto da un velo goth. I recenti ingressi in lineup della batterista e cantante Nora Knight e del bassista Spike Currier hanno rappresentato una svolta sadcore nel sound della band.
Moonflowers, il primo album pubblicato per Felte Records, presenta arrangiamenti melodici stratificati, una strumentazione metà tra elettronica e analogica e un guitar pop delicato che oscilla fra chamber pop, slowcore e post-rock.
Imperdibili.
WE WERE JUST HERE dei Just Mustard
Torna il quintetto shoegaze, noise e post-punk irlandese, guidato da Katie Ball, la founder (2015) con i Radiohead e i Sonic Youth in fondo al cuore.
La band ha esordito con Wednesday nel 2018, poi si è fatta notare per aver aperto ai Cure nel Primavera Festival di Barcellona del 2019 e — nello stesso anno — per un tour con i Fontaines D.C. Successivamente hanno bissato nel 2022 con Heart Under, uno dei dischi più sottovalutati di quell’anno.
WE WERE JUST HERE, pubblicato da Partisan Records, è il terzo lavoro in studio, ma sicuramente il primo per ambizioni e riuscita. Si tratta di un disco più luminoso dei suoi predecessori, non a caso si apre con un brano dal titolo Pollyanna - riesci a immaginare un titolo più ottimistico?
I ritmi restano tirati, il muro avvolgente delle chitarre rimanda ai My Bloody Valentine, le atmosfere fumose e oniriche ai Mazzy Star, mentre la voce fiabesca di Katie strizza l’occhio ai Cocteau Twins.
WE WERE JUST HERE è etereo ed esplosivo allo stesso tempo: un mix perfetto di rumore sciropposo e melodie brillanti.
Per approfondire
📻 Nonostante la diffusione dello streaming e la contrazione dei budget, oltre 1000 college radio sono ancora attive negli Stati Uniti. Ne parla il New York Times partendo dal libro di Katherine Rye Jewell: Live From the Underground: A History of College Radio. Se non sei abbonato al NYT, puoi accedere comunque al contenuto usando questo link con codice di sblocco.
🆓 Si affaccia sul mercato Catalog, una nuova piattaforma di licensing musicale che ha l’obiettivo di offrire un’alternativa al mercato delle tracce stock, valorizzando artisti indipendenti licenziati tramite blockchain. Sono già presenti in catalogo oltre 30.000 brani selezionati da etichette indipendenti di rilievo tra cui !K7, Warp, Domino, Ninja Tune e Partisan Records.
📈 Il 12 novembre UK Music ha pubblicato il suo rapporto annuale, nel quale viene dipinta un’industria musicale in piena espansione, che ha contribuito con la cifra record di 8 miliardi di sterline all’economia del Regno Unito (il 5% in più rispetto all’anno precedente) e che sta dando lavoro a oltre 220.000 persone.
🖌️ Cosa c’è di più banale della collaborazione fra Bon Iver e Pantone? Ah, sì: il colore che ne esce fuori!
My job here is done
Alla prossima!
(Hai notato che non scrivo mai “A presto”?)





