💩 Perché pensiamo di avere gusti musicali migliori degli altri?
Un libro che s'intitola proprio "Musica di Merda: ovvero perché pensiamo di avere gusti migliori degli altri" ma anche il DISCONE del mese e altre chicche.
C’era una volta, esattamente a metà strada fra la calata degli Hipster sul nostro pianeta e l’ascesa dell’It-pop, una t-shirt che andava tanto di moda con la scritta "I Listen to Bands That Don't Even Exist Yet." Era un modo elegante per dire al potenziale interlocutore: "Non provarci nemmeno a parlare di musica con me!"
Quel periodo così fitto di risvoltini e baffetti all’insù è stato il momento esatto in cui il grafico delle vendite dei dischi ha ruotato di 90°. Si passava da decine di album che vendevano milioni di copie a milioni di dischi che vendono decine di copie (no, non sarà l’ennesimo post sul digitale e la coda lunga).

Tutta questa montagna di m…usica nuova apriva un interessantissimo dibattito: se i Led Zeppelin non mettono più tutti d’accordo, chi ha i gusti musicali migliori?
Sul tema esistono tante teorie, dalla “Teoria Ikea” (la musica migliore è quella che hai scoperto da solo, come i mobili migliori sono quelli che monti da te) al bias del “Falso consenso” (“Come fai a non amare i Pink Floyd?! Devi essere una persona strana”). Su Indie Riviera ho già toccando queste tematiche in passato. Forse ricorderai l’articolo di Jamie Ballard Americans say the 1970s and 1980s were the best music decades, in cui la data journalist sottolineava la nostra propensione ai generi ascoltati durante l’adolescenza; o lo studio dell'Università di Cambridge dal titolo Musical tastes offer a window into how you think, in cui si rileva come il tipo di "stile cognitivo" di una persona ha un'influenza i sui suoi gusti musicali.
Il tema è così serio che un importante critico musicale come Carl Wilson c’ha scritto sopra un libro intero.
Musica di Merda: ovvero perché pensiamo di avere gusti migliori degli altri di Carl Wilson
Musica di Merda, ovvero: perché pensiamo di avere gusti migliori degli altri è un libro di qualche anno fa, uscì per la prima volta come saggio all’interno della collana statunitense 33⅓. L’idea era quella di chiedere a importanti critici di analizzare un singolo album a scelta. Quando fu la volta di Wilson, Carl in modo inizialmente goliardico, scelse l’odiato (da lui) classico di Celine Dion Let's Talk About Love. Di solito lo scherzo è bello finché dura poco, ma piuttosto che desistere Carl decise di portare alle estreme conseguenze il suo divertissement, finendo per trovare una risposta credibile alla domanda: perché pensiamo che i nostri gusti siano migliori degli altri?
L’approccio di Wilson fu da subito scevro da pregiudizi: se i critici (statunitensi) non capiscono Dion, potrebbe essere che non abbiano le coordinate culturali per "interpretarla". Nella sua ricerca Wilson si appoggiò da subito al lavoro del sociologo francese Pierre Bourdieu.
Bourdieu sosteneva (è morto nel 2002) che i gusti culturali sono anche la scacchiera di un elaborato gioco di supremazia sociale. In sostanza, sosteneva Bourdieu, i nostri gusti servono a marcare il nostro status (a volte solo percepito o desiderato) nella società. Dire "mi piace Bach e non la trap" non sarebbe solo un’affermazione estetica, ma anche un modo per distinguersi da altri gruppi sociali.
Il risultato è un testo che nel corso degli anni è diventato un classico della critica musicale: divertente, colto e a suo modo geniale.
Cover the Mirrors di Ben Kweller è il disco del mese
Nell'ultimo mese mi sono commosso parecchio. Sarà l'età, sarà la stanchezza, sarà lo svuotamento del nido, sarà che non lo so e che so anche di non sapere, ma è successo. Ho pianto in un ristorante di Milano, mentre guardavo delle foto di 10 anni prima, di quando mangiavo nello stesso ristorante con i miei figli allora piccoli. Ho pianto tre giorni dopo, in un pub di Misano, mentre scrivevo la recensione di questo disco di Ben Kweller, un padre che due anni fa ha perso suo figlio 16enne e ha deciso di celebrarlo attraverso la musica.
Benjamin Lev Kweller, nato a San Francisco nel 1981 e cresciuto in Texas, è uno di quei musicisti che sembrano essere nati direttamente sul tappeto polveroso di un studio di registrazione. Compositore, chitarrista, polistrumentista (suona anche batteria e piano) e berretta di lana d’ordinanza gli valgono l’epiteto (coniato da me) di Badly Drawn Boy made in USA.
Cover the Mirrors, che non ha ancora un distributore italiano, è un album segnato da un lutto devastante: la morte del figlio adolescente Dorian.
“È il progetto più personale ed emotivamente crudo a cui abbia mai lavorato. Quando Dorian è morto nel 2023, sono stato sopraffatto dal bisogno di fare musica. Non mi importava cosa ne sarebbe uscito perché era l'unico modo per trovare pace nel mio dolore devastante [...] I miei alti sono più alti e i miei bassi sono più bassi. Il mio amore è più profondo e la mia vocazione è più forte. Cover The Mirrors mi sta aiutando ad affrontare la mia nuova realtà e queste canzoni fanno parte di quel viaggio.”
Il disco si apre con il piano e i sospiri di dolore di Going Insane e continua con Dollar Store un folk da cameretta che si inalbera in un pezzo emo-core incazzato. Depression strizza l’occhio all’ingenuità indietronica dei Death Cab for Cutie per poi trascinarti in territori dub paludosi da cui è difficile ritornare. Optimistyc rimanda al miglior power pop di scuola americana, pulito e corrosivo allo stesso tempo, la collaborazione con i Flaming Lips (fra le altre) – in uno dei pezzi più visionari del disco – è la ceralacca che suggella lo status di “disco della madonna”, che non poteva che chiudersi con Oh Dorian.
Hai scritto un disco indimenticabile Ben.
🛒 Puoi comprare questo disco sul sito ufficiale di Ben Kweller.
The Scholars dei Car Seat Headrest
The Scholars è il primo album in studio dei Car Seat Headrest da cinque anni a questa parte ed è anche il lavoro più ambizioso di Will Toledo & Co. (sì, i ragazzi assomigliano sempre di più ad una vera band). L’album è stato licenziato dalla Matador ad inizio maggio e si tratta di un concept album su tematiche di formazione.
Dopo gli esperimenti con l’elettronica del 2020, la band torna a sonorità più affini agli esordi: robuste chitarre serpeggianti alla Built to Spill, feedback alla Destroyer, inni à la Shins mandati a doppia velocità (The Catastrophe), brani lo-fi pop malinconici e introspettivi, con qualche cavalcata prog (3 brani superano abbondantemente i 10 minuti).
La scrittura di Toledo è sempre personale, brillante e disseminata di riferimenti culturali inaspettati, fedele ai suoi ascolti di riferimento: Radiohead, Modest Mouse, Animal Collective, R.E.M e compagnia cantante.
Se cerchi la grandeur del rock classico e l'urgenza del college rock statunitense: ascolta The Scholars!
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If You Asked For A Picture di Blondshell
Sabrina Teitelbaum, in arte Blondshell, è cantautrice e chitarrista dal sound deciso e graffiante. È nata a New York ed è attiva prevalentemente a Los Angeles, sarà una mia suggestione ma entrambe le città riverberano tra i solchi dei suoi pezzi. Il suo esordio è stato disco del mese - nientepopodiméno che - su Indie Riviera a maggio 2023:
Con il suo esordio omonimo, che possiamo inquadrare fra l’alternative rock e il grunge con qualche passaggio folk, da posizionarsi nello scaffale fra Courtney Barnett, Frankie Cosmos e Courtney Love.
Il nuovo If You Asked For A Picture esce ancora per la Partisan Records al grido di: "formula che vince non si cambia!" Quello che passa sul piatto è un album sulle orme del precedente, con tante chitarre e tanti richiami ai gruppi di riferimento di Sabrina: Smiths, Cure, Cranberries e Hole.
Anche le tematiche del disco appaiono in continuità, dopo la dipendenza affettiva e da sostanze, If You Asked For A Picture (il titolo rimanda a una poesia di Mary Oliver) scandaglia i temi delle relazioni tossiche.
Il disco urgente e ambizioso, fotografa un'artista che alla seconda uscita è già ad uno zenith della carriera. Impossibile non scuotere la testa sui ritornelli catchy di brani che strizzano l'occhio agli anni 90, come 23's A Baby o T&A.
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GOLLIWOG di billy woods
Billy Woods è rapper newyorkese con radici che affondano tra Washington D.C., Zimbabwe e Caraibi (Billy è il figlio di una professoressa di letteratura giamaicana e di un rifugiato politico). Dopo un passaggio fugace alla Howard University e l’immersione nell’underground di NYC a fine anni 90, Woods inizia a registrare nei primi 2000, sino ad arrivare al suo esordio solista History Will Absolve Me nel 2012. Da allora quasi un disco ogni anno, tutti per la sua etichetta la Backwoodz Studioz.
GOLLIWOG è ancora una volta rap e hip-hop sperimentale, che rimanda ad un immaginario afro-surrealista fatto di zombie africani, bambole maligne, viaggi nel tempo e humour dissacrante a metà fra una puntata di Zio Tibia e una de Ai confini della realtà. Il tutto su beat abrasivi firmati da una lista di produttori che annovera The Alchemist, Kenny Segal, EL-P e e tanti altri che sarebbe come leggere uno scontrino dopo la spesa del sabato mattina.
Il paragone con MF DOOM arriva spontaneo, non solo per l’attitudine schiva, ma anche e soprattutto per l’approccio colto e destrutturato delle campionature: noisy, wall of sound di fiati in loop, percussioni free jazz e media analogici a profusione.
GOLLIWOG è una matrioska di sound e visioni.
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caroline 2 di caroline
Riassunto della puntata precedente: i caroline sono un gruppo rock sperimentale di base a Londra (ma i membri storici si erano conosciuti ai tempi dell'università a Manchester), il cui esordio self-titled del 2022 ha ottenuto consensi unanimi.
Con tutta la pressione del caso i caroline tornano nel 2025 con una line-up di 8 musicisti e un disco, caroline 2, che è stato registrato in 18 mesi fra Francia e Regno Unito e licenziato dalla Rough Trade.
L’immagine che mi viene in mente ascoltando caroline 2 è quella dell’"uovo decostruito", ovvero un uovo cucinato con una tecnica che separa gli ingredienti (albume e tuorlo) processandoli con tecniche diverse e arrivando ad un risultato creativo, innovativo e, soprattutto, molto più costoso.
Come un qualsiasi Cracco paraculo la produzione di caroline 2 separa gli "ingredienti" del disco, rendendoli meno amalgamati e maggiormente distinguibili al “palato”, i vuoti e i silenzi sono parte integrante del sound. Questa produzione de-organica mi ricorda da un lato la strada intrapresa dalle Horsegirl in Phonetics On and On (prodotto da Cate Le Bon) e dall’altro la cifra arty-pop e post rock di Forever Howlong dei Black Country, New Road.
Probabilmente i caroline, oggi, assieme ad English Teacher e Black Country, New Road, sono la rosa dei venti di quello che la perfida albione può esprimere al suo massimo livello.
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Tall Tales di Mark Pritchard e Thom Yorke
Spoiler: ti avvicini ad un disco di elettronica in collaborazione con Thom York e subito ti balzano alle orecchie Kid A, Amnesiac, Hail to the Thief e The Eraser, poi scopri che non è esattamente quello che volevi ascoltare, ma non sai dire se è meglio o peggio o semplicemente qualcosa di nuovo.
Tall Tales è una creatura di Mark Pritchard, musicista elettronico inglese e personaggio di culto della scena elettronica britannica dagli anni 90, e Thom Yorke, cantautore, polistrumentista... vabbè dai, lasciamo perdere.
Dopo il singolo Beautiful People del 2016 e qualche remix sparso, Thom Yorke e Mark Pritchard escono finalmente allo scoperto con un album co-intestato, pubblicato da Warp (per Thom è l’attesa prima volta). La voce di Yorke viene manipolata fino a diventare puro suono, ennesimo strumento nelle mani di Pritchard, non quello che avrei desiderato io, ma forse è proprio questo il compito dell’artista: superare le aspettative e portarti oltre.
Alcuni momenti toccano vette davvero alte (Back in the Game), altri giocano con ironia e nostalgia (Gangsters, tra 8-bit e arcade vintage) e The Man Who Dance è un brano cinematografico che sembra già la colonna sonora di un film di Sofia Coppola.
Una collaborazione che suona insieme naturale e imprevedibile. Sicuramente irripetibile.
🛒 Puoi comprare questo disco sul bandcamp di Mark Pritchard.
Per approfondire
🥇 Pitchfork ha pubblicato una classifica parziale con i migliori dischi usciti nel 2025 fino ad oggi.
🎼 Bandcamp ha annunciato le Playlists in versione beta sulle app Android e iOS. Si tratta di uno spazio per costruire e condividere raccolte personali a partire dalla musica acquistata. Un gesto semplice che ricorda lo spirito dei mixtape analogici e che ha l'obiettivo rafforza il legame tra ascoltatore e artista.
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ha scritto una recensione del videogioco Kid A Mnesia Exhibition (di cui non sapevo nulla) pubblicato da Epic nel 2021. Si tratta di un viaggio immersivo tra suono, glitch e visioni, una vera e propria installazione digitale - nata da un’idea di Radiohead - che trasforma Kid A e Amnesiac in un’esperienza interattiva.🎸 Su Internazionale del 30 maggio trovate la traduzione di questo articolo di Dorian Lynskey pubblicato originariamente sul Guardian dove viene analizzato, approfonditamente, lo stato dell'arte (suvvia, sono sarcastico) del grande business dei concerti. Internazionale ha modificato il titolo in "Il grande imbroglio dei concerti". Il pezzo comincia con "Perfino Donald Trump sa che il prezzo dei biglietti dei concerti è troppo alto." What else?!?
🏖️ Ah, mentre tu stai leggendo questo, io probabilmente mi starò godendo Eleanor Friedberger al Beaches Brew Festival di Ravenna (evento gratuto), se invece non è ancora l’11 giugno, puoi ancora unirti a me.
My job here is done
Alla prossima!
(Hai notato che non scrivo mai “A presto”?)
Mi piace Bach e odio la trap!
Grazie Francesco per la condivisione! L’hai provato? Ti è piaciuto?