🥊 Non è Governo UK Vs. Creators, ma Big Tech Ai Vs. Case Discografiche
Dove ti spiego cosa c'è dietro l'album di protesta This What We Want? firmato da 1.000 artisti UK, ma anche il disco del mese e altra musica entusiasmante uscita ultimamente
Nel Regno Unito in questi giorni sta facendo molto discutere la proposta del governo di riformare la legge sul copyright. Il Parlamento vorrebbe modificare l’attuale legge facilitando le grandi corporation che operano nel settore dell'intelligenza artificiale generativa nell’istruire i propri algoritmi sulla base delle opere già esistenti.
In passato è già successo che l'industria dell'intelligenza artificiale migliorasse grazie all'accesso non autorizzato a opere protette da copyright. Forse ricorderai che il New York Times nel 2023 ha intentato una causa contro OpenAI e Microsoft accusandole di violazione del copyright per l'utilizzo non autorizzato dei propri articoli al fine di addestrare ChatGPT e Copilot.
Secondo il governo britannico l'attuale quadro normativo sul copyright "impedisce alle industrie creative, ai media e al settore dell'intelligenza artificiale di realizzare il loro pieno potenziale" e questa nuova legge potrebbe portare le big tech a investire maggiormente nel Regno Unito.
La verità è che figure potenti e carismatiche a capo delle corporation e allineate con l'amministrazione Trump, come Elon Musk e Sam Altman (CEO di OpenAI), stanno pressando apertamente affinché vengano introdotte normative più flessibili (stai pensando anche tu al DDL Spazio?).
Anche i detrattori di questa proposta parlano apertamente di un palese tentativo di placare le grandi aziende tecnologiche a spese delle industrie creative.
In particolare c'è un punto che sta letteralmente dividendo la Gran Bretagna in due fazioni: la nuova legge garantirebbe alle corporation IT l'accesso alle opere protette da diritto d'autore di default, salvo che chi ne detiene i diritti neghi esplicitamente il consenso attraverso un meccanismo di opt-out.
Sostanzialmente se un artista vuole evitare che i propri contenuti diventino materiale di addestramento per bot, deve fare richiesta di opt-out per ogni singola opera, su ogni piattaforma, impiegando giornate di lavoro. Su piattaforme come YouTube, ad esempio, l'elaborazione di una singola richiesta di opt-out può richiedere fino a 15 minuti. Proteggere un intero portfolio di opere creerà un enorme onere amministrativo per i titolari dei diritti e per le case discografiche.
Gli artisti e le artiste del Regno Unito si sentono traditi dal proprio paese e definiscono il sistema di opt-out come un'"illusione di controllo". Si sarebbero piuttosto aspettati il contrario, ovvero che i propri diritti fossero tutelati di default, salvo essere loro stessi a consentire l'accesso alle AI.
Inoltre si stima che il 90% degli artisti UK non sia nemmeno a conoscenza del meccanismo di opt-out, lasciando così il proprio lavoro vulnerabile allo “sfruttamento”.
A ben vedere la battaglia non è fra il governo britannico e gli artisti e le artiste, ma fra le big tech e chi detiene i diritti delle opere (spesso le case discografiche).
In questo momento l’opposizione è capeggiata da Ed Newton-Rex, che è un po’ il Bob Geldof della situazione. Ed è musicista e già fondatore di Jukedeck, un'azienda che genera musica attraverso l’AI per TV, podcast e videogiochi; attualmente è CEO di Fairly Trained, un'organizzazione non-profit che certifica le aziende di intelligenza artificiale generativa per le pratiche di formazione sui dati che rispettano i diritti dei creatori.
Ed Newton-Rex ha dichiarato: "L'opt-out non funziona. Nessun sistema di opt-out esistente può escludere con successo tutte le copie downstream. E comunque, anche se teoricamente potesse funzionare, il che non è possibile, è estremamente ingiusto nei confronti dei creatori".
Il punto è che i bot AI non consultano un elenco in cui viene detto loro cosa possano utilizzare o meno per l'apprendimento, semplicemente scandagliano il web e il deep web alla ricerca di tracce musicali e, da qualche parte, troveranno sicuramente una copia digitale di quel brano a cui il suo proprietario non è arrivato a imprimere l’opt-out.
Per portare la questione all'opinione pubblica Ed Newton-Rex ha avuto l'idea di pubblicare un album dal titolo Is This What We Want? (“È questo ciò che vogliamo?”), che ha riunito tantissimi artisti fra cui Kate Bush, Damon Albarn (Blur, Gorillaz), Annie Lennox, Pet Shop Boys, Billy Ocean, membri dei Clash, Ed O'Brien (Radiohead), Cat Stevens e così via, fino ad arrivare a 1.000 (trovi l’elenco completo di chi ha deciso di aderire sul sito ufficiale dell’iniziativa).
L’album dura 47 minuti e 17 secondi e contiene 12 tracce di silenzio e rumori, ognuna intitolata con una sola parola che, messa in fila assieme alle altre, compone il messaggio: The British Government Must Not Legalise Theft To Benefit AI Companies (“Il governo britannico non deve legalizzare il furto di musica per favorire le aziende di IA”).
(Spoiler: nella prossima uscita di Indie Riviera ti racconterò come stanno affrontando il tema dell'AI generativa le principali piattaforme di streaming)
Sinister Grift di Panda Bear è il disco del mese
Panda Bear è il nome che Noah Lennox ha scelto per il suo progetto solista alla fine degli anni 90, quando disegnò un panda sulla custodia di una delle sue prime registrazioni DIY. Cresciuto tra il Maryland e la Pennsylvania, ha frequentato la Boston University per poi trasferirsi a New York dove ha incontrato i suoi futuri compagni di band degli Animal Collective: Avey Tare, Geologist e Deakin.
Con venticinque anni di carriera alle spalle, Noah è probabilmente il membro più noto fra i quattro componenti del collettivo animalesco, anche grazie ad un sound accessibile, alle armonie vocali psichedeliche con precisi riferimenti ai Beach Boys e a una scrittura-patchwork che si richiama le tecniche di campionatura proprie dell’hip-hop.
Nel corso degli anni Noah ci ha abituato a un’alternanza tra album introspettivi e malinconici, che fanno chiedere all'ascoltatore quanto questo ragazzo possa ancora piegarsi e resistere alla vita prima di spezzarsi, e opere elettroniche più colorate. Un esempio di questa seconda direzione è Reset del 2022, album che lo ha visto collaborare con Sonic Boom e che è stato - casomai te lo stessi chiedendo - uno dei miei dischi preferiti del 2022.
Sinister Grift è l’ottavo album in studio di Panda Bear, pubblicato dalla Domino Records, è stato registrato presso il suo studio di Lisbona e co-prodotto assieme all’amico Deakin.
In questa ennesima incarnazione di Panda Bear, Lennox esplora un sound che si avvicina al rock (ho scritto “si avvicina”), suonando praticamente tutti gli strumenti analogici da solo, ma invitando nel percorso anche spiriti affini come Cindy Lee (Defense è un pezzone guidato chitarre catchy), Rivka Ravede degli Spirit of the Beehive e - per la prima volta in un album solista di Panda Bear - ogni singolo membro degli Animal Collective. Questo ritorno a strumenti acustici conduce ad un alternative-folk-rock psichedelico e nebuloso, che rappresenta un cambio di direzione rispetto agli ultimi lavori di elettronica sperimentale.
Consigliato sia ai fan degli Animal Collective che a chi non li conosce ancora.
Billboard Heart dei Deep Sea Diver
Deep Sea Diver è il progetto musicale della cantautrice californiana Jessica Dobson.
Dopo anni di esibizioni come strumentista presso artisti indie di alto profilo (Beck, Spoon, Yeah Yeah Yeahs e gli Shins) e un paio di album da solista con la Atlantic Records nel 2004, Dobson ha fondato i Deep Sea Diver assieme al compagno e batterista Peter Mansen.
Impossible Weight, il secondo album della band uscito nel 2020, li ha portati alla ribalta attirando l’attenzione della Sub Pop che li ha prontamente messi sotto contratto.
Per il nuovo Billboard Heart Jessica ha di nuovo scelto Andy D. Park per la produzione e questa volta la sinergia tra i due ha dato vita a un sound luminoso ed energico. Nel disco si intrecciano invenzioni elettroniche caleidoscopiche che ricordano i Broken Bells, cavalcate degne dei Muse, un senso di epicità che richiama gli Arcade Fire e chitarre acide in pieno stile Sub Pop. La voce di Dobson è intensa e sfoggia un’anima punk che attraversa ogni brano.
Il disco immortala una band al massimo della sua forma, sono stato indeciso fino all’ultimo se elevarlo a “Disco del mese”. Merita davvero.
Maps di Sonic Boom e Sinner DC
Ci sono artisti il cui impatto sonoro è inconfondibile e Sonic Boom, alias Peter Kember, è uno di questi. Dall'epopea psichedelica degli Spacemen 3 alle produzioni ipnotiche con Panda Bear, ogni suo intervento è consistente e riconoscibile. Maps lo vede all’opera con il duo svizzero Sinner DC e il risultato è un disco sofisticato e magnetico.
Maps è la registrazione di una performance live durante il Festival La Bâtie del 2013, in cui i tre artisti hanno portato sul palco un perfetto equilibrio tra il minimalismo elettronico dei Sinner DC e l'inconfondibile tocco chitarristico di Kember. Il disco è di fatto un'installazione sonora composta da texture di musica elettronica ambient, drum machine pulsanti e ipnotici feedback di chitarra.
I rari elementi didascalici che affiorano dall’evocazione metaforico-sonora sono affidati a campionature vocali surreali, tra cui spiccano alcuni frammenti terribilmente simili alla voce di Lou Reed. Fra le altre segnalo sicuramente All Show & No Go dove possiamo ritrovare il miglior Kember degli Spacemen 3.
Strano che si intitoli proprio Maps quando l’invito sembra quello di perdersi.
Phonetics On and On delle Horsegirl
Le Horsegirl nascono a Chicago da un'idea delle due chitarriste e cantanti (ciascuna canta le canzoni che scrive) Penelope Lowenstein e Nora Cheng, accomunate da un background di ascolti giovanili simili, che vede tra i loro punti di riferimento Kim Gordon (e più in generale i Sonic Youth), gli Yo La Tengo e i Pavement.
La band ha fatto parlare di sé nel 2022 con l’esordio Versions of Modern Performance, pubblicato dalla Matador Records, un disco shoegaze e post-punk che non non faceva nulla per nascondere i riferimenti musicali di cui sopra.
Siccome da grandi esordi nascono grandi aspettative (semicit.), la band ha deciso di dribblare ogni pressione virando il proprio sound e affidandosi alla produzione di Cate Le Bon (Deerhunter, Kurt Vile e, soprattutto, Wilco). Cate ha funambolicamente tagliato fuori la parte noise, il wall of sound e gran parte dei feedback di chitarre che quasi sovrastavano le voci di Penelope e Nora nel primo album.
Phonetics On and On è stato registrato in sole due settimane presso The Loft, lo studio dei Wilco a Chicago. Si tratta di un album dalle sonorità omogenee e più asciutte rispetto al noise e post punk degli esordi, con le voci di Nora e Penelope che vengono portate in primo piano. Ogni strumento ha una sua linea ben distinguibile dagli altri e lo spazio fra ogni nota è parte stessa della linea melodica, tutto risulta più luminoso anche grazie all’utilizzo di archi e sintetizzatori.
In estrema sintesi molto meno shoegaze e noise, più twee e college rock.
Landfill degli Young Knives
Dopo cinque anni di silenzio tornano gli Young Knives, un gruppo post-punk nato a Leicestershire (Inghilterra) a metà degli anni 90 e composto dai fratelli Henry e Thomas Dartnall rispettivamente alla chitarra e al basso.
La band raggiunse il suo climax quando nel 2006 una manciata di singoli raggiunsero la Top 40 del Regno Unito e l'album di debutto Voices of Animals and Men ricevette una candidatura ai Mercury Award.
Landfill, pubblicato dalla Gadzook Records, è un disco che suona come un collage di suoni e generi, il titolo stesso - che significa "discarica" - suggerisce l’idea di una raccolta eterogenea di frammenti, ma il risultato è tutt’altro che caotico.
Henry, con la sua voce sottile e stridente, guida la band in un viaggio tra post-punk, sperimentazioni sonore e suggestioni psichedeliche che rimandano ai Beach Boys e a Robert Wyatt. La loro abilità nel mescolare energia nervosa e melodia avvolgente ricorda a tratti gli Yard Act.
Come afferma Henry, Landfill è un disco sull’abbandonare le illusioni di controllo e accogliere il caos con leggerezza. Un’idea quasi buddista che si riflette nella musica: stratificata, imprevedibile, ma sempre perfettamente a fuoco.
I Love What We Do di Geoffrey O'Connor
Geoffrey O'Connor è un cantautore e produttore originario di Melbourne. Geoffrey ha iniziato a fare musica durante il liceo come parte del gruppo indie pop dei Crayon Fields, con i quali ha avuto l’onore e l’onere di supportare artisti del calibro di Unicorns (li adoravo!), Deerhoof e Architecture in Helsinki.
In questa sua incarnazione solista il mood di O'Connor mi ricorda da vicino Jens Lekman e forse è proprio questa somiglianza mi ha fatto superare la soglia minima di attenzione. Con quell’aria un po’ alla Damon Albarn ai tempi di The Great Escape o alla Elvis Costello, Geoffrey ha una grande abilità da crooner, capace di far innamorare il pubblico delle prime file.
Il suo synth pop è caratterizzato da atmosfere rarefatte che rimandano agli anni 80, evocando Bryan Ferry e i Roxy Music e giocando con la contrapposizione tra la sua voce calda e le fredde tastiere sintetizzate.
In I Love What We Do O'Connor ha coinvolto un discreto gruppo di musicisti, ampliando il suo sound con l'inclusione di archi, chitarre acustiche, pianoforte e arpe. Il risultato è un paesaggio sonoro rigoglioso ma al contempo organico.
Per approfondire
👨🏫 Essere virali su TikTok non significa automaticamente successo su Spotify: uno studio della Duetti rivela che solo una piccola percentuale dei brani che spopolano sulla piattaforma riesce a trasformare la popolarità in ascolti duraturi sui servizi di streaming musicale. TikTok da un lato aiuta la promozione musicale, dall'altro offre compensi bassissimi e un'attenzione del pubblico fugace, portando le etichette discografiche a sfidare la piattaforma sulle licenze musicali.
🤖 Refik Anadol, artista turco classe 1985, combina big data e Intelligenza Artificiale per creare opere immersive che sfidano la percezione sensoriale. La sua mostra personale In Situ al Guggenheim di Bilbao, aperta dal 7 marzo al 19 ottobre, include l'installazione Living Architecture, dove Anadol trasforma immagini e materiali d'archivio dei progetti di Frank O. Gehry in storie visive dinamiche generate dall'AI. Ne scrive Rolling Stones Italia.
My job here is done
Alla prossima!
(Hai notato che non scrivo mai “A presto”?)
Uh, due dischi da recuperare (Sonic Boom e O'Connor). Molto bene!